Via Lata in Roma è una piccola traversa che collega piazza del Collegio Romano con la trafficatissima via del Corso. Sul fianco del palazzo De Carolis, ora della Banca di Roma, si trova un po’ nascosta una piccola fontana. E’ nota col nome di “Facchino” ed è celebre per essere una delle cosiddette “statue parlanti”, appartenenti al Congresso degli Arguti, insieme con Pasquino, Marforio, Madama Lucrezia, il Babuino e l’abate Luigi e deputate ad accogliere anonimi componimenti di denuncia sui vizi e le ingiustizie della Roma papalina. Il Facchino è raffigurato con un berretto floscio ben calzato in testa, una giubba aperta da cui sbuca la camicia dall’ampio colletto e le maniche ben rimboccate, intento a sorreggere una botticella da cui sgorga uno zampillo d’acqua. Il personaggio in questione è in realtà un acquaiolo o anche detto “acquarenario “ed indossa il costume proprio della sua Corporazione. Così erano noti fin dal Medioevo quegli uomini che rifornivano la città d’acqua potabile.
Sembra quasi un paradosso: una fontanella che celebra un mestiere esistito proprio grazie alla sete. Ma questa era la condizione di Roma, almeno fino alla fine del XVI secolo, prima che i pontefici ripristinassero gli antichi acquedotti e prima ancora che si erigessero le monumentali fontane barocche. A quell’epoca c’è stata una Roma che per sopravvivere si è arrangiata, anche per avere dell’acqua decente; ed è esistito un mestiere faticoso come quello del nostro Facchino che di notte riempiva botticelle con l’acqua del Tevere (filtrata, anche se non mai stata un granché) e di poche fonti, per poi caricarsi i barili in spalla e andare a venderla porta a porta.
La fontana del Facchino fu commissionata probabilmente dall’Università degli Acquaroli e realizzata tra il 1580 e il 1590 su disegno di un pittore tardomanierista, il fiorentino Jacopino del Conte (1515 c. -1598). Inizialmente fu collocata nella facciata della casa dove quest’ultimo abitava, in via del Corso a pochi passi da Santa Maria in via Lata, gettando il suo unico zampillo dentro una grande vasca poi scomparsa, come illustrato in un’incisione del Falda (1665). Una zona scelta non a caso, poiché nota all’epoca per la presenza di numerose abitazioni e botteghe di portatori d’acqua, a poca distanza dall’antica fontana di Trevi, rifornita dall’unico acquedotto ancora funzionante in città, quello dall’Acqua Vergine. Dopo la demolizione della casa nel 1724, il Facchino fu spostato sulla facciata del palazzo De Carolis, da poco edificato e successivamente, nel 1872, per motivi di viabilità, sistemato nella sua odierna collocazione. La tradizione popolare vuole che la statua riproducesse le fattezze di un vero facchino, realmente esistito: un tal Abbondio Rizio, così celebre da essere ricordato in un piccolo componimento inciso su una lapide collocata a ridosso della fontana poi scomparsa, che così recitava, celebrandone la virtù e sottolineando qualche vizio
”Ad Abbondio Rizio, coronato [facchino] sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì.”